Quanto costerà al comparto dell’ortofrutta italiana l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea? Coldiretti prova a stimare il prezzo della Brexit. A farlo in un convegno dal titolo “Il prodotto ortofrutticolo Made in Italy nei mercati internazionali” saranno, giovedì 6 febbraio all’Italia Fruit Village, nella hall 6.2 di Fruit Logistica Ettore Prandini – Presidente Nazionale Coldiretti, Felice Adinolfi – Professore ordinario Università di Bologna, Paolo De Castro – Parlamentare Europeo, David Granieri – Presidente Coldiretti Lazio, Gianmarco Laviola – Amministratore Delegato Princes Italia e Sonia Ricci – Direttore commerciale Agrinsieme.
A preoccupare non solo i possibili dazi, ma l’allungamento dei tempi di trasporto che deriveranno dalla ricostituzione di un sistema doganale.
Con il successo conservatore alle urne inglesi del dicembre scorso, conquistato da Johnson all’insegna dello slogan “Get Brexit done” (“Portiamo a compimento la Brexit”), e l’approvazione della legge quadro (EU Withdrawal Agreement Bill), ci si avvicina sempre più alla definizione dei molteplici e complessi aspetti derivanti dal divorzio tra l’Ue e il Regno Unito.
Uno di questi è quello legato al sistema delle merci. Coldiretti proverà, ad analizzare i costi che la decisione politica potrà avere sull’ortofrutta italiana.
Gli effetti di eventuali dazi, ma soprattutto quelli derivanti dai ritardi doganali che scatterebbero per il nuovo status di Paese Terzo rispetto all’Unione Europea. Quest’ultimo aspetto è quello che preoccupa principalmente l’organizzazione degli imprenditori agricoli italiani presieduta da Ettore Prandini.
L’Italia, infatti, ha importanti relazioni nell’agroalimentare con forniture che classificano la Gran Bretagna al quarto posto tra i partner commerciali del Belpaese nell’agroalimentare. Dopo il vino al secondo posto, tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna c’è proprio l’ortofrutta fresca e trasformata. Lunghe file di camion e ingorghi sulle strade dirette al terminal di Calais agitano i sonni dei produttori e distributori di prodotti con una shelf life ristretta. Baby leaf, innanzitutto, rucola nello specifico.
Ad essere a rischio è uno dei settori strategici per tutta la Piana del Sele, nel Salernitano. Accumulare un ritardo, anche di dodici ore, su un prodotto ad alta deperibilità significa infliggere un duro colpo a una filiera che coinvolge circa 400 aziende agricole con una produzione media di 110mila tonnellate di prodotto, equivalente a circa il 65% della produzione nazionale, con un volume di affari complessivo che si avvicina a un miliardo di euro. Ma sono tante le insidie della Brexit per l’agroalimentare italiano. Coldiretti non dimentica le problematiche legate alla tutela giuridica delle esportazioni italiane di prodotti a indicazioni geografica e di qualità (Dop/Igp) che incidono per circa il 30 per cento sul totale dell’export agroalimentare Made in Italy e che, senza protezione europea, rischiano di subire la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione da Paesi extracomunitari. Ora che la Brexit sembra essere inevitabile diviene necessario definirne bene l’impatto, in modo da contenerne i costi e proporre accordi in grado di salvaguardare la redditività delle imprese e l’occupazione.